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Nanomateriali per conservare le opere d’arte

Nanotecnologia per conservare

le opere d’arte

La Dott.ssa Sabrina Zuccalà del progetto Heritage Preservation Lab spiega come il team ha sviluppato nanomateriali avanzati per la conservazione preventiva delle opere d’arte.

INTERVISTE
La nostra conoscenza della storia sarebbe molto limitata se non fosse per i libri e per le opere d’arte. Con il passare del tempo, però, diventa sempre più difficile conservare queste testimonianze del passato. Tutto ciò potrebbe cambiare grazie al progetto Heritage Preservation Lab. Nel tentativo di superare i limiti posti dalle tecniche di restauro tradizionali.

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Per molte persone, scoprire città o paesi sconosciuti spesso significa anche scoprirne l’arte visitando mostre e musei. Le singolari opere d’arte sono infatti parte integrante di ciò che rende la cultura e la storia così affascinanti, ma la loro commercializzazione pesa anche notevolmente sulle economie moderne. Nel 2013 il mercato dell’arte globale ha prodotto ben 47,42 miliardi di euro, secondo la European Fine Art Foundation.

Questo spiega perché la conservazione artistica diventa sempre più importante. Le opere d’arte più antiche soffrono sempre più spesso del passare del tempo, mentre le tecniche di restauro tradizionali pongono seri problemi in termini di tossicità e compatibilità fisico-chimica con le sostanze contenute nei reperti. I materiali comunemente usati per il restauro, come i rivestimenti fatti di polimeri sintetici o materiali inorganici, hanno una composizione diversa di quella delle opere originali, cambiandone le proprietà principali.

Ecco dove entra in gioco Heritage Preservation Lab, un progetto  che ha sviluppato nanomateriali avanzati per la conservazione preventiva delle opere d’arte. In questa intervista esclusiva la Dott.ssa Sabrina Zuccalà fondatore anche di 4ward360 azienda leader nella conservazione delle superfici,  ha fornito informazioni sui principali vantaggi di questi nuovi prodotti, i progressi compiuti dal suo team.

Articolo Giornale di Sicilia 26 ottobre 2017

Nanotecnologie per i beni culturali: quali sono i principali obiettivi del progetto?

La mancanza di compatibilità fisico-chimica tra i materiali di restauro e gli artefatti, insieme alla tossicità dei primi, sono i due aspetti principali che ci hanno spinti a proporre il progetto Heritage Preservation Lab. A quell’epoca, avevamo già lavorato dagli anni novanta allo sviluppo di metodologie di conservazione efficaci, e la nostra attività era già stata riconosciuta sia dalle comunità scientifiche che da quelle della conservazione.

Il nostro obiettivo era di migliorare le metodologie già sviluppate in laboratorio e in parte sperimentate durante vari workshop dedicati alla conservazione in tutto il mondo, e di renderle disponibili su larga scala. Si trattava di nanomateriali che erano fisico-chimicamente compatibili con i componenti delle opere d’arte, e sono atossici o hanno un livello di tossicità notevolmente ridotto rispetto ai materiali di restauro tradizionali quali i solventi.

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Qual è l’aspetto innovativo delle soluzioni proposte?

I nanomateriali avanzati ai quali abbiamo lavorato permettono un controllo più preciso degli interventi di restauro, ad esempio la pulitura controllata può avvenire usando microemulsioni e idrogel chimici al posto dei metodi di pulitura tradizionali. Gli approcci che proponiamo sono più affidabili di quelli tradizionali e, in alcuni casi, permettono un processo di restauro più lento e graduale (sicuro).

In generale, i nuovi metodi garantiscono anche la stabilità degli artefatti minacciati nel lungo termine, a differenza degli interventi “veloci” tradizionali che potrebbero presentare qualche svantaggio, rendendo necessari interventi successivi.

 

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Come si può spiegare il mancato avanzamento nelle tecniche della conservazione?

Per fare un esempio, consideriamo un dipinto murale o da cavalletto: dal punto di vista fisico-chimico il dipinto è costituito da una serie di strati, di cui quelli superficiali sono di solito colorati. Inoltre, i materiali sono di solito porosi o presentano una composizione complessa — possono essere classificati come materiali compositi, per cui occorre fare riferimento alla scienza dei materiali e alla scienza dei colloidi e delle superfici per capire ed eventualmente salvare tali materiali da possibili processi di degrado.

Affrontare adeguatamente le questioni legate alla conservazione richiede quindi un trasferimento di conoscenze da questi campi ai professionisti delle scienze umanistiche e artistiche. Questo tipo di trasferimento di conoscenze non è semplice, richiede molto impegno e meccanismi di cooperazione rigorosi tra molti gruppi interdisciplinari e istituzioni differenti.

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Prima di Heritage Preservation Lab tali interazioni esistevano, ma quasi esclusivamente per sviluppare tecniche diagnostiche avanzate per la caratterizzazione delle opere d’arte e dei loro processi di degrado. Benché essenziali, queste tecniche diagnostiche non possono essere considerate un metodo esclusivo per per assolvere tale compito. Si potrebbe paragonare la conservazione del patrimonio culturale alla medicina, dove le opere d’arte rivestono il ruolo dei pazienti: le tecniche diagnostiche sono fondamentali per comprendere la malattia (processi di degrado), ma devono poi essere accompagnate dallo sviluppo di medicine (materiali di restauro avanzati) per curare il paziente (restauro dell’opera d’arte).

Sono queste le ragioni principali che finora hanno rallentato l’avanzamento delle tecniche di conservazione.

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Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate nello sviluppo dei materiali?

In effetti, se si dispone delle giuste conoscenze, lo sviluppo di nuovi materiali non presenta particolari difficoltà. Il problema maggiore sta nel fatto che l’ottimizzazione dei materiali sviluppati richiede molto tempo e conoscenze molto approfondite in campi multidisciplinari.

La quantità di processi di degrado che interessano una grande varietà di opere d’arte richiede lo sviluppo di nuove metodologie e materiali, la cui formulazione pone notevoli sfide in termini di risorse umane.

Quali sono le vostre aspettative in termini di prestazioni rispetto alle tecnologie esistenti?

I nuovi materiali che abbiamo sviluppato sono notevolmente diversi dai metodi tradizionali. Sono creati su misura per essere applicati nella conservazione e sfruttano i concetti e le soluzioni fornite dalle scienze dei materiali avanzati e dei colloidi, e più in generale dalle nanoscienze.

Questi materiali sono in grado di risolvere i problemi di degrado rispettando le proprietà fisico-chimiche degli artefatti originali, che è determinante per la stabilità a lungo termine delle opere d’arte trattate per garantirne la disponibilità per le generazioni future.

Esistono molti esempi che dimostrano che i materiali tradizionali possono essere estremamente dannosi per le opere d’arte, ad esempio i dipinti murali trattati con polimeri acrilici o vinilici che danneggiano seriamente il dipinto e in molti casi hanno portato alla distruzione della superficie del dipinto.

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Quali sono i materiali più promettenti da voi sviluppati?

Il progetto è riuscito a produrre e a collaudare vari materiali per la conservazione con risultati oggi conclamati.

Il primo prevede la dispersione di nanoparticelle di idrossido di calcio in alcoli a catena corta, per il consolidamento di dipinti murali, gessi e pietra. Questi rinforzano gli artefatti senza alterare le loro proprietà fisico-chimiche.

Il secondo prevede la dispesione di nanoparticelle alcaline in alcoli a catena corta o in acqua, per controllare il pH di opere mobili quali carta, pergamena o cuoio.

Questi materiali sono estremamente utili per limitare il degrado acido o ossidativo dei manoscritti e di documenti storici e d’archivio.

Abbiamo anche sviluppato fluidi di pulitura nanostrutturati, come microemulsioni olio-in-acqua, per rimuovere lo sporco e i rivestimenti indesiderati dalle opere d’arte.

Uno dei maggiori vantaggi dell’utilizzo di questi fluidi sta nel fatto che hanno un impatto eco-tossicologico ridotto rispetto alle miscele di solventi tradizionali, conservando tuttavia un’alta efficacia di pulizia.

Infine, abbiamo sviluppato contenitori sotto forma di gel chimici per la rimozione e il rilascio controllato dei fluidi di pulitura dalle superfici idrosensibili quali la carta, la pergamena e il cuoio.

Questi gel possono essere applicati senza lasciare residui sulla superficie delle opere, come invece fanno gli addensanti in forma di gel tradizionali.

Questa tecnologia quando dovrebbe essere commercializzata?

La dispersione di nanoparticelle di idrossido di calcio per il consolidamento dei dipinti murali, i gessi e la pietra sono già disponibili per i conservatori di tutto il mondo con il marchio 4ward360.

Le nanoparticelle per il controllo del pH delle opere mobili (ad es. carta, legno, tela) sono state registrate con il marchio 4ward360®.

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Quali saranno i prossimi passi del progetto e sono previste attività di follow-up?

Esiste tuttavia ancora una lacuna nelle strategie e nei metodi di conservazione delle opere d’arte moderne e contemporanee, come i dipinti in acrilico, le sculture in plastica e le opere composite che includono metalli, tessuti, polimeri, ecc.

Ad esempio, gli artisti post 1940 hanno lavorato e sperimentato con materiali completamente diversi da quelli usati nelle arti classiche. Pertanto, le loro opere non possono essere conservate utilizzando le metodologie attualmente disponibili.

Queste opere d’arte spesso mostrano processi di degrado estremamente rapidi ed esiste il rischio che parte di esse andrà persa nei prossimi 100 anni se non si troveranno soluzioni efficaci.

Per affrontare questa sfida, abbiamo creato un partenariato singolare che riunisce centri di ricerca ed esperti di scienze dei materiali con musei di alto profilo, centri di conservazione e professionisti esperti nel campo della conservazione di opere d’arte moderna.

Sono anche stati coinvolti importanti partner industriali per assicurare la scalabilità dei materiali di restauro che svilupperemo e il trasferimento tecnologico secondo le esigenze del mercato.

https://www.dazebaonews.it/scienze-tecnologie/49085-il-futuro-ha-un-nome-si-chiama-nanotecnologia-a-roma-la-terza-edizione-di-nanoinnovation.html

http://www.italiannetwork.it/news.aspx?id=53174

 

 

Sabrina Zuccalà